Lo so, l’immagine non è proprio il massimo. La verità è che ho constatato che non esistono, o comunque non mi sono venute in mente, altri tipi di zia “celebri” che non siano un po’ ridicole, come zia Bisbetica in “Brisby e il segreto di Nimh”, o zia PIttypat di “Via col Vento”, oppure zia Sara di “Lilli il Vagabondo” (quella dei gatti siamesi per intenderci). Tutte signore di una certa età, un po’ svampite, zitelle, con la voce gracchiante. Gli zii maschi, invece possono contare su esempi molto più famosi e simpatici, da zio Paperone a zio Fester, passando per zio Sam, zio Buck, zio Reginaldo degli “Aristogatti”.
Comunque anche Selma dei Simpson è una zia, come me. E nell’ultimo periodo il fatto di essere zia è stato ancora più chiaro nelle mie giornate, forse perché ho avuto il nipotino tutti i giorni a casa con me. Ora che questo momento così speciale sta per finire, e il piccolo sta per lasciare la nostra casa, mi sono tornate in mente le riflessioni sulla bellezza della “ziitudine” scritte più di un anno fa. Le ripropongo oggi, perché rileggendole mi hanno risuonato nel cuore, proprio come quando le ho scritte la prima volta. E quindi, anche se non mi piace tornare indietro, rieccovi il “Bello della zia”.
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Sono una zia. Meglio ancora sono una zia a distanza: appartengo cioè a quella categoria di zii che vivono lontani dai nipotini. Esistono diverse connotazioni degli zii a distanza: giovani, meno giovani, sposati e non sposati, con figli o senza. E poi si possono diversificare in base alla distanza stimata dall’amato pargolo: ci sono quelli che vivono a distanza limitata, a distanza considerevole e a distanza estrema. Io appartengo alla categoria base: sono la zia giovane (il vantaggio di essere l’ultima in famiglia è che sei considerato sempre giovane), a distanza limitata, non sposata, senza figli. In pratica tutta rivolta al nipotino. E conosco tanti compagni di avventura, zii a distanza come me, con cui condivido una serie ampia di svantaggi e di grandissimi privilegi.
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